14 ottobre 2012

(non) E' stato il figlio





Dal lavoro registico di Daniele Ciprì, a Venezia ampiamente lodato dalla critica e dagli applausi del pubblico, vorrei ricavare alcune considerazioni sulle relazioni familiari, che il film declina con lo stile cinico, violento, parossistico, cui lo stile di Ciprì dovrebbe averci già abituato.

Oltrepassando il triangolo Palermo-Mafia-Morte, la famiglia Ciraulo in primo piano (sottoproletaria, priva d'ideali, ostentatamente e registicamente squallida e abietta oltre l'immaginario onirico, e forse per questo più credibile) esalta con non velata compiacenza, lo stigma siculo-degradato, in cui il denaro (e il benessere che ne potrebbe derivare) generano il cortocircuito stabile di un vortice di povertà e mostruosità caratteriali.
Che più che al neo-realismo, sembrano attingere al surrealismo.

Serenella, la più piccola di casa muore, uccisa per errore da una vendetta di mafia.
E dopo il tragico (ma breve...) sconforto della perdita della bambina, la famiglia troverà consolazione nell'agognato risarcimento milionario per le vittime di mafia (siamo nelle lire degli anni ottanta) che porterà distruzione e miseria ancor peggiori.
Una Mercedes blu, in sostituzione della bambina, sarà il risarcimento mortifero, simbolo di una ricchezza da miserabili, in attesa di una rispettabilità sociale mai conosciuta e inconoscibile.

Il primogenito Tancredi, sarà la successiva vittima sacrificale del sistema familiare, costretto dalla nonna e dalla logica della cruenta sopravvivenza, a confessare di aver ucciso il padre, pur essendo colpevole soltanto di aver desiderato per una sera di vivere la vita di un qualsiasi ragazzo di vent'anni.

Lasciando i critici al loro lavoro, qui è la famiglia tirata dentro il suo stesso gioco grottesco, in cui i figli pagano il costo più insensato.

Dalla vita morale alla vita materiale, l'esistenza è negata, al pari di un'identità sconfitta e mai nata, sottomessa e sottratta all'esperienza di un agognato benessere, cui ognuno di loro aspira quasi in maniera immateriale, non avendone appunto mai avuto alcuna esperienza.

Il compiacimento, ostentato nella descrizione viscida e odiosa, fatta di particolari grotteschi, di certe caricature caratteriali (basta fermare solo un attimo lo sguardo sul disgustoso avvocato e sulla di lui segretaria) non lascia spazio ad alcuna speranza, ad alcun cambiamento.
La morte è protagonista, la distruzione sua complice e alleata.

Bravo Toni Servillo, perfino di maniera. Restano da contemplare le maschere tragiche di questi uomini e donne, in cui il matriarcato nonnesco (stregonesco) farà da spietato finale, risorsa straordinaria, da deus ex machina del teatro greco.

Dunque se e' (quasi) sempre vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, come in Tagore, l'onda degli affetti familiari anela al raggiungimento del fiore del rispetto e della credibilità sociale, senza raggiungerlo mai.

Assolviamo la famiglia, annegata nella troppa miseria, materiale e civile, ma non senza distaccarci da quel compiaciuto protagonismo stilistico (sottile, ma non proprio) che nega qui ogni possibilità di ulteriore evoluzione.





"E' stato il figlio", regia di Daniele Ciprì, Fandango, Italia, 2012.

Tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo, (Mondadori, 2005)
ed ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto a Palermo.



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