30 ottobre 2012

Sulla perfezione

La cipolla





La cipolla è un'altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d'inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla - cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell'una ecco sta l'altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un'eco in coro composta.

La cipolla, d'accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi - grasso, nervi, vene,
muchi e secrezioni.
E a noi resta negata
l'idiozia della perfezione.



(W. Szymborska, Cebula. Grande numero - 1976).

25 ottobre 2012

Amore romantico



"Essere innamorati è come uscire di casa
per vedere che giornata c'è". 
(Robert Creeley)

"L’amore è come un fiore; se non sei pronto a vederlo mutare, puoi sempre comprartene uno di plastica". (R. Osho)



L'amore e il desiderio generano quell'arco di tensione dal quale emerge l'amore romantico; come tutte le nostre esperienze, l'amore e il desiderio sono in parte costruzioni.

La passione s'incunea tra il desiderio e la sua realizzazione.

L'amore e il desiderio naturalmente nascono anche dalla trama delle nostre vite quotidiane, e noi abbiamo molto a che fare con la costruzione dei contesti in cui appaiono.

Ma fino a che a punto oggi ha ancora senso parlare di amore romantico?
Possiamo aspettarci che l'amore possa durare e fino a quando?

Il desiderio di certezze illusorie può rivelarsi potente.
E molto spesso lo stato d'inerzia è la condizione di stabilità.

Allo stesso modo anche la stabilità è illusoria e la natura dinamica del cambiamento può rovesciarne gli esiti molto prima che possiamo rendercene conto.
Rendendo tutto precario: condizione che anch'essa può risultare molto interessante, perfino ai più.

Varrebbe proprio la pena di chiedersi... Ma come si fa a uscirne vivi?

Vorrei condividere l'idea di un amore "maturo", in cui si può crescere, senza ostacolarsi, o per forza separarsi, per affermare la propria identità.

In cui la crescita e lo sviluppo sono possibili e auspicati da entrambi i partner.

E' un'operazione che ha bisogno di due persone che generano forme di vita su cui sperano mutuamente di contare.

Dove fantasia e realtà si intrecciano in continuazione, in uno scambio di tolleranza reciproca.
Dove è l'amore (e non solo il lavoro) a "produrre" valore e realizzazione personale.
Un'idea romantica, in cui, nonostante tutto, mi piace ancora poter credere.




Approfondimenti:

Willi J., La Collusione di Coppia.
Edizioni Franco Angeli. Milano. 1987.

Mitchell S., L'amore può durare? Il destino dell'amore romantico.
Raffaello Cortina Editore. Milano. 2003.

24 ottobre 2012

Amori




"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue".


Montale E., Xenia II, 1966.

Felicità



"Felicità raggiunta, si cammina
per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case".

Montale E., Ossi di seppia, 1925.

22 ottobre 2012

Passioni



"Nessuno ti preleva da Milano. 
Tu chiami un taxi ricordando forse che Quasimodo lì ti conduceva, su di un taxi, dove si sedeva ragionando d'amore senza fine.
Quasimodo spendeva le parole e io spendo la vita per amarti, ma tu non vieni, intuendo che qualcuno potrebbe sbarrarti la strada qui davanti.
Incolpo tutti della tua presenza, li incolpo del tuo starmi lontano.
E a tratti mi ritrovo sul cuscino, disperatamente".

Merini A., La pazza della porta accanto. Bompiani. Milano. 1995.

21 ottobre 2012

Traditori e traditi



Tradimento e fiducia sono in relazione doppia: l'uno non può esistere senza l'altro e viceversa.

Il tradimento è la crisi, è la rottura, è la fine dell'infanzia, è l'ingresso nel mondo reale, il mondo della coscienza e delle responsabilità umane.

E' dal segreto, creatore d'intimità e di condivisione, che nascono molti legami, molte appartenenze, amori e affiliazioni.

Allo stesso modo, confidare un segreto genera subito un timore e sottintende un rischio: quello di essere traditi. Ecco che in tal senso il tradimento segnala la doppia natura di consapevolezza e di possibilità; quindi, dal suo stesso etimo, il suo carattere di trasmissibilità.

Traditore e tradito sono dunque necessari l'uno all'altro, specchio deformante di un'unica realtà che li vede al servizio di se stessa e di ciò che intende mantenere.

Il tradimento svela così, già dai suoi presupposti, il suo carattere di reciprocità.

Tutti noi abbiamo fatto esperienza del tradimento.

A quanti tradimenti abbiamo sottoposto noi stessi, compiacendo aspetti legati al potere, al denaro, all'eros, all'immagine?
Quanta autenticità abbiamo sacrificato in nome di una cosiddetta migliore realizzazione? Quanto d'inevitabile era contenuto in ognuno di questi peccati fatti a favore (e contro) la nostra realizzazione?

Traditori e traditi, ingannati e ingannatori, cammineranno così di fianco, e non di spalle, come più facilmente l'idea di tradimento richiamerebbe. Non potendo prescindere gli uni dagli altri, colluderanno al mantenimento di ciò che intendono salvare, di ciò di cui non possono fare a meno e che di conseguenza li terrà (talvolta dolorosamente) in vita.

"E se noi siamo degli ingannati, non siamo perciò stesso degli ingannatori?".

Approfondimenti:

Nietzsche F., (1878-79). Umano troppo umano. Adelphi. Milano.1982.


Carotenuto A., Amare Tradire. Quasi un'apologia del tradimento.
Bompiani. Milano. 1991.

15 ottobre 2012

Abbandoni

Ultimo brindisi



"Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all'inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
a un mondo crudele e rozzo,
a un Dio che non ci ha salvato".



(Anna Achmatova, 1934)

14 ottobre 2012

(non) E' stato il figlio





Dal lavoro registico di Daniele Ciprì, a Venezia ampiamente lodato dalla critica e dagli applausi del pubblico, vorrei ricavare alcune considerazioni sulle relazioni familiari, che il film declina con lo stile cinico, violento, parossistico, cui lo stile di Ciprì dovrebbe averci già abituato.

Oltrepassando il triangolo Palermo-Mafia-Morte, la famiglia Ciraulo in primo piano (sottoproletaria, priva d'ideali, ostentatamente e registicamente squallida e abietta oltre l'immaginario onirico, e forse per questo più credibile) esalta con non velata compiacenza, lo stigma siculo-degradato, in cui il denaro (e il benessere che ne potrebbe derivare) generano il cortocircuito stabile di un vortice di povertà e mostruosità caratteriali.
Che più che al neo-realismo, sembrano attingere al surrealismo.

Serenella, la più piccola di casa muore, uccisa per errore da una vendetta di mafia.
E dopo il tragico (ma breve...) sconforto della perdita della bambina, la famiglia troverà consolazione nell'agognato risarcimento milionario per le vittime di mafia (siamo nelle lire degli anni ottanta) che porterà distruzione e miseria ancor peggiori.
Una Mercedes blu, in sostituzione della bambina, sarà il risarcimento mortifero, simbolo di una ricchezza da miserabili, in attesa di una rispettabilità sociale mai conosciuta e inconoscibile.

Il primogenito Tancredi, sarà la successiva vittima sacrificale del sistema familiare, costretto dalla nonna e dalla logica della cruenta sopravvivenza, a confessare di aver ucciso il padre, pur essendo colpevole soltanto di aver desiderato per una sera di vivere la vita di un qualsiasi ragazzo di vent'anni.

Lasciando i critici al loro lavoro, qui è la famiglia tirata dentro il suo stesso gioco grottesco, in cui i figli pagano il costo più insensato.

Dalla vita morale alla vita materiale, l'esistenza è negata, al pari di un'identità sconfitta e mai nata, sottomessa e sottratta all'esperienza di un agognato benessere, cui ognuno di loro aspira quasi in maniera immateriale, non avendone appunto mai avuto alcuna esperienza.

Il compiacimento, ostentato nella descrizione viscida e odiosa, fatta di particolari grotteschi, di certe caricature caratteriali (basta fermare solo un attimo lo sguardo sul disgustoso avvocato e sulla di lui segretaria) non lascia spazio ad alcuna speranza, ad alcun cambiamento.
La morte è protagonista, la distruzione sua complice e alleata.

Bravo Toni Servillo, perfino di maniera. Restano da contemplare le maschere tragiche di questi uomini e donne, in cui il matriarcato nonnesco (stregonesco) farà da spietato finale, risorsa straordinaria, da deus ex machina del teatro greco.

Dunque se e' (quasi) sempre vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, come in Tagore, l'onda degli affetti familiari anela al raggiungimento del fiore del rispetto e della credibilità sociale, senza raggiungerlo mai.

Assolviamo la famiglia, annegata nella troppa miseria, materiale e civile, ma non senza distaccarci da quel compiaciuto protagonismo stilistico (sottile, ma non proprio) che nega qui ogni possibilità di ulteriore evoluzione.





"E' stato il figlio", regia di Daniele Ciprì, Fandango, Italia, 2012.

Tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo, (Mondadori, 2005)
ed ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto a Palermo.



Trasformazioni



"Ho vissuto molte vite.
Sono stato un principe e uno schiavo.
Molti amori ho tenuto sulle ginocchia e
mi hanno tenuto sulle ginocchia molti amori.
Tutto ciò che è stato di nuovo sarà".


W. B. Yeats.

10 ottobre 2012

Dipendenze e intrecci relazionali


Un tempo, quando Giovanni era piccolo,
voleva stare tutto il tempo con sua mamma
e aveva paura che se ne andasse via

più tardi, quando fu un po' cresciuto,
voleva starsene via da sua mamma
e aveva paura che 

lei lo volesse avere con sé tutto il tempo

quando fu grande s'innamorò di Maria
e voleva stare con lei tutto il tempo
e aveva paura che se ne andasse via

quando fu un po' più in là con gli anni,
non voleva stare con Maria tutto il tempo
aveva paura
che volesse stare con lui tutto il tempo, e
che avesse paura
che lui non volesse stare con lei tutto il tempo


Giovanni fa paura a Maria minacciandola di lasciarla
perché ha paura che lei lo lasci.

R. D. Laing, Nodi. 1974.

2 ottobre 2012

Neonati rifiutati e idolatrati



Mi affascina sempre osservare i bambini appena nati, meraviglioso miracolo della continuazione della specie.
E a prescindere dai coinvolgimenti personali, che fanno di quel bambino un bambino unico e speciale nella relazione con l'adulto, ogni bambino che viene al mondo consegna con se stesso un piccolo capolavoro.

Purtroppo, però, non tutti i bambini che nascono trovano un ambiente che li attende e desidera.
Non è perciò raro che vengano abbandonati, anche già dalla nascita. E nei casi più drammatici, uccisi.

Sarebbe impossibile in questo contesto fare una disamina dei motivi che possono indurre una madre a uccidere il proprio bambino appena nato.
Sotto-cultura, impreparazione, povertà, solitudine, mancanza di risorse morali e materiali, fanno spesso da cornice a scelte così tragiche e irreversibili.
E segnalano comunque il fallimento di una società che non è stata capace in alcun modo di sostenere quella madre. Che non ha trovato nessuna soluzione, nessun appoggio personale e sociale, al punto di scegliere di liberarsi del suo bambino e rifiutarlo fino a ucciderlo.

A lato opposto di tanta umana disperazione, vedo anche frotte di nuove generazioni di bambini, agognati, venerati, idolatrati, da genitori che ne fanno perfino un bene di consumo, una continuazione del proprio sé, narciso e insaziabile di conferme.

Mi colpisce per esempio vedere dentro il sempre troppo citato Facebook, la metamorfosi dei profili d'identità di alcune donne. Che una volta divenute mamme, sostituiscono la propria foto con quella del bambino. Come se l'identità della donna fosse scomparsa, a favore (?) del piccolo nato.

Bambini e bambine moderni, principi e principesse di reami inesistenti, che quando verrà il momento di camminare nel mondo e di conoscerlo, resteranno molto delusi e impreparati ad affrontarlo.
Soffocati dalla realizzazione di desideri di famiglie che hanno fatto soltanto un lavoro ostinato e auto gratificante, al servizio del loro compiacimento, piuttosto che dei bambini, della loro crescita e costruzione d'identità.

Auspicherei la nascita di bambini accolti da famiglie consapevoli, che non li rifiutino, né maltrattino.
E dal versante opposto, non li riducano a bambolotti modellati all'altare del proprio narcisismo.
Sappiamo bene che l'equilibrio è il risultato di un lavoro continuo e costante, ma è proprio di questo che i più piccoli hanno bisogno: equilibrio, impegno, amore.

Approfondimenti:

Miller A., Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri. Torino. 1990.


Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, 
Bollati Boringhieri, Torino. 1996.

Bettelheim B., Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli. Milano. 2002.

Famiglie d'attualità



Gli enormi cambiamenti culturali e sociali che ai nostri giorni si ripercuotono sulla relazione di coppia, rappresentano nuove sfide per le famiglie.
Sempre più frequenti sono i casi di genitorialità tardiva e di figli piccoli in famiglie in cui l'età dei genitori ha attraversato ormai da un pezzo la mezz'età.

L'età delle primipare si è spostata in avanti, fino al limite ultimo concesso dalla natura, che si è poi spinto ben oltre: pensiamo alla procreazione assistita e a tutte le recenti tecniche di concepimento da laboratorio.

La crisi economica di scala nazionale e mondiale, ha reso molto complicato il progetto di tante coppie: fare un figlio in condizioni di totale precarietà lavorativa non ha di certo alleggerito né il compito né gli animi.
E in molti casi ne ha proprio bloccato il progetto. A tutto discapito di una generazione mai nata e di famiglie appena accennate, abbozzate, incompiute. Dove spesso è il partner a interpretare il ruolo del figlio per il compagno, e/o viceversa.
E' chiaro che ci sono moltissime coppie che funzionano benissimo senza figli, dove la progettualità è l'evoluzione stessa della storia, che è la figlia (si spera non unica) nata dell'unione dei due partner.
Ma di questo magari parleremo in post successivi.

Nasce la necessità d'organizzare dunque la vita di queste nuove famiglie, dove genitori non più giovani, debbono sobbarcarsi la gestione di almeno tre cicli di vita differenti. E intendo quindi il proprio, quello di adulti nell'età di mezzo, quello della terza età dei genitori, e quello dei figli piccoli o piccolissimi, appena nati.

Non possiamo ignorare che l'età media delle donne e degli uomini si è parecchio allungata, merito delle scoperte della medicina, e di migliorati stili di vita, più consapevoli e attenti al benessere psico-fisico. E che la risorsa 'nonni', soprattutto nel nostro paese a forte impronta familistica, rappresenta di sovente un pilastro solido cui attingere cure e accudimenti preziosi per i più piccoli.

Genitori ultra cinquantenni alle prese con bambini piccoli, con pappe e pannolini, sono scenari molto differenti dai quadri che ci consegnavano le famiglie dei nostri trascorsi anni sessanta.
Ma al tempo stesso specchio dei tempi, con cui di necessità dobbiamo confrontarci.

Accompagnare i genitori in queste tappe evolutive mutate, e certamente guardare con attenzione agli sviluppi di queste famiglie, è compito e cura anche della rete sociale (se c'è) che supporta la famiglia.

Ma se questa rete non ci fosse o risultasse insufficiente, assente, latitante?
Può infatti essere molto complicato confrontarsi con i problemi di un pre-adolescente e al tempo stesso prendersi cura di un lattante, all'interno dello stesso nucleo familiare.

E chiedere aiuto a un professionista è auspicabile, dove le risorse dei genitori si trovassero in difficoltà.
Aiuto vissuto come un passo di forza, come una spinta per sorreggere un carico che è divenuto, in quel particolare momento della vita della famiglia, troppo pesante o perfino insostenibile.

Senza cedere alla tentazione del mollare la spugna o alla logica (?) del tanto non c'è niente da fare.
Perché c'è sempre da fare ed è molto meglio qualche tentativo in più, che uno in meno.


Approfondimenti:

Fruggeri L., Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi sociali.

Carocci Edizioni. Roma. 1998.

Fruggeri L., Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni familiari.
Carocci Edizioni. Roma. 2005.

1 ottobre 2012

Costruzioni di significato/3

Nodi



"Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non
giocare a un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare,
infrangerò le regole e mi puniranno.
Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco".

(Ronald D. Laing, 1974)


Cantares



Viandante sono le tue impronte
la via e nulla più:
Viandante non c'è un cammino
si fa il cammino camminando.

Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.

Viandante non c'è una via
ma solo una scia sul mare ...


(Antonio Machado, 1912)