30 dicembre 2012

Viaggiare

PRIMA DEL VIAGGIO



Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s'informa
qualche amico o parente, si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un occhiata al testamento, pura
scaramanzia perchè i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
                                          prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si riparte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
                                        E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo.

(Montale E., Satura, 1971)

23 dicembre 2012

La verità



"Preferiamo ignorarla la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi".

(Massimo Gramellini, Fai bei sogni).

22 dicembre 2012

Serendipità



"Poi le cose capitano come capitano. Non te lo chiedono prima. 
Non ti chiedono il permesso".

(Cormac McCarthy).

21 dicembre 2012

Passato



"Seguendo il modello di Bion, penso che l'inconscio venga formato e trasformato nella relazione terapeutica, nell'incontro singolare tra due menti che costituiscono una nuova entità e danno vita a scenari nuovi e imprevedibili. Certo che il passato conta, ma forse il problema riguarda quelle storie che non ci è stato dato di vivere o - come direbbe Ogden - di sognare".


(Nino Ferro, neopresidente della Società psicoanalitica italiana e membro della International Psychoanalytical Association).

20 dicembre 2012

Bugie



"Le persone intorno a te non vogliono conoscerti, accettano le tue menzogne come buone".

(M. Mazzantini, Venuto al mondo).

19 dicembre 2012

Gratitudine



Mi riprese la mano, mi venne da lì e poi per tutto il corpo una spinta di gioia, di calore, di grazie. Glielo dissi: “Le tue mani mi fanno guarire”.   

(Erri De Luca).

18 dicembre 2012

La conversazione terapeutica



I valori e le opinioni del terapeuta interagiscono con i valori e le opinioni dei pazienti, creando soluzioni imprevedibili.

Lo scopo della terapia è di aiutare la gente a rendersi conto dell'effetto del proprio comportamento sugli altri. Attraverso tale consapevolezza, una persona inizia a diventare più autonoma. L'individuo emerge quando diventa consapevole del flusso costante della propria influenza nelle relazioni umane: è il momento in cui si diventa responsabili.

Responsabilità non vuol dire prendersi cura degli altri in senso classico, ma essere in grado di comprendere quanto si partecipa nel creare il sistema di cui si è parte. Possiamo perfino affermare che questo è ciò che consideriamo un comportamento etico. Essere etici significa permettere alle persone di riscoprire la propria individualità assieme alla partecipazione alla vita degli altri.

Durante la conversazione terapeutica, le persone lentamente si rendono conto della loro partecipazione nella creazione della storia.

(G. Cecchin, G. Lane, W. A. Ray, Verità e pregiudizi. Un approccio sistemico alla psicoterapia. Raffaello Cortina Editore. Milano. 1997).

17 dicembre 2012

Rischi terapeutici




Si dice che non si finisce mai d'imparare, e questo, nella terapia, è vero per il paziente come per il terapeuta, purché sia disposto a mettere in gioco se stesso e a dialogare costantemente con i propri pregiudizi.

È arcinoto che in psicoterapia, ad esempio, non ci debbano essere legami di conoscenza tra il sistema d'appartenenza del cliente e il terapeuta.

Le circostanze relazionali però a volte possono spingere il professionista a pensare che una parziale eccezione possa talvolta essere praticabile.

Occorre che il terapeuta si muova in questi casi con una cautela estrema, per evitare di cadere nelle numerose trappole che questo spinoso scenario può creare.

La familiarità del terapeuta nei confronti del paziente, e del suo contesto relazionale rende ancor più necessario che i pre-giudizi (giudizi a priori) siano considerati e, sempre molto faticosamente, tenuti a bada.

Le relazioni in comune tra terapeuta e paziente implicano il rischio di discussioni, commenti e chiacchiere esterne al percorso terapeutico, offerte sotto l'apparenza di innocue, e magari "forse" anche ingenue (?) domande colloquiali (come va? viene? come sta andando? come mai non è guarito magicamente dopo tre colloqui? etc.). Sono queste modalità intrusive e di tipo voyeuristico che implicano l'intorbidamento del legame paziente-terapeuta, il quale invece deve mantenersi quanto più possibile limpido e avulso da questo tipo d'invischiamenti ed evidenti e grossolani tentativi di manipolazione del lavoro terapeutico.

Il rischio è che la terapia funzioni solo fino a quando non si incontrino punti critici, che ad esempio implichino un cambiamento profondo del paziente.
Fino a quando il cambiamento è ritenuto non pericoloso per il sistema d'appartenenza, pronto invece a ostacolarlo laddove non risulti più "compiacente" e aderente alle aspettative proiettate sulla terapia.
Il cambiamento tanto agognato diviene visibile: è desiderato e temutissimo al tempo stesso.

È questo il momento in cui la familiarità tra il sistema d'appartenenza del paziente e il terapeuta risulta essere soltanto un grave ostacolo alla terapia.
Il cambiamento può essere percepito come rischioso non dal solo sistema paziente-cliente, ma da tutto il sistema allargato dei rapporti comuni.

È "normale" che un paziente non ce la faccia, che senta di non desiderare la prosecuzione del cammino percorso, che faccia innumerevoli tentativi per far fallire la terapia.
Sovente ciò può dipendere dal fatto che non sia consapevole di quanto il suo stesso ambiente d'appartenenza, che pure superficialmente vorrebbe un suo cambiamento, possa remare contro il successo e la prosecuzione del lavoro, quando questo sia avvertito come un'alterazione di equilibri preesistenti, di evoluzioni "consentite" ma solo sulla carta.

È "normale" anche che il paziente attacchi la terapia e il legame terapeutico. È una delle tantissime cose che possono accadere a un terapeuta quando fa il suo delicato, bellissimo, ma talvolta ingrato lavoro.
Laddove il paziente decida di "darsi alla fuga", potrebbe anche non trovare migliore strategia che squalificare il terapeuta agli occhi della sua cerchia relazionale inviante.

Questa reazione può generare un cortocircuito stabile che rende impossibile la prosecuzione etica, deontologica e materiale del lavoro.
E anche fino qua, sono conseguenze inevitabili dei rischi del mestiere.

Che i pazienti dicano "bugie" fa parte del loro mestiere di pazienti: certo è un elemento che mostra immaturità evolutiva (se non anche un disturbo della personalità) e che va considerato nell'eventuale prosieguo della terapia. Altrettanto "normale" è che tentino d'interrompere la terapia. Con possibili e anche gravi conseguenze iatrogene per il paziente.
È compito del terapeuta mantenere il timone ben saldo e proseguire nella conduzione, o dove richiesto, sospendere e/o interrompere il percorso terapeutico.

Il problema causato dal contesto "inquinante" la relazione terapeutica è che il sistema relazionale inviante il paziente possa trovare "comodo" assecondare le scuse che il paziente stesso si dà per interrompere il lavoro. Il sistema inviante può ritenere utile (e financo necessario) per la sua stessa stabilità e sopravvivenza fare in modo che l'alleanza terapeutica, tanto faticosamente costruita, naufraghi.

È proprio il grado di confidenza tra gli elementi del sistema relazionale inviante il paziente e il terapeuta che finisce per essere lo scoglio titanico contro cui rischia di affondare il lavoro terapeutico.

Può sembrare paradossale che le relazioni in comune tra terapeuta e paziente, che inizialmente hanno "favorito" (favorito tra ciuffi di virgolette) l'inizio del percorso, siano la causa principale del suo fallimento, ma a un'analisi più appassionante e spassionata, ne risulta evidente il senso.

Lo svincolo del paziente è spesso desiderato dal contesto relazionale solo sulla carta. Non appena comincia a diventare possibile, i componenti il sistema possono rendersi conto di quanto il cambiamento possa essere un pericolo per il sistema stesso. E quindi diventa temutissimo, perché rischia di modificare uno status quo-ante che può essere "aggiustato", ma non più di tanto.

Il messaggio iatrogeno trasmesso dalla famiglia è: "Cambia, ma non cambiare! Diventa indipendente, dipendendo da me!".
Come nelle migliori ingiunzioni paradossali schizofrenogeniche, il destinatario del messaggio non può che sbagliare, qualsiasi cosa faccia.

Questa "posizione insostenibile" lo farà rimanere immobilizzato in una dipendenza falsa, ostile e ambigua; il vero sé sarà sconfitto e intrappolato nell'incastro (scacco matto) del double bind veicolato dalla comunicazione del sistema d'appartenenza.



A sua volta, questo comportamento è figlio anche di una percezione banalizzata e cialtrona della psicoterapia, vista con le lenti di credenze e pensieri magici (grezzi e superficialissimi). Il paziente non "guarisce" dopo qualche colloquio. La durata del percorso non è prevedibile a priori. La terapia non agisce come la bacchetta magica della fata turchina. Non è una "simpatica" lettura di arcani maggiori e minori. Non è un doposcuola, né un dopolavoro. Non è un presidio ortopedico su misura. Non è una ricetta di cucina, in cui il cambiamento (uh, ma che bello, proviamoci, sì, sì) è ambito come la sapidità di una pietanza purché sia q.b., come il sale nelle ricette appunto.



Last, but no least, il rapporto allargato terapeuta-sistema d'appartenenza complica (e di parecchio) la transazione economica relativa alla terapia.
Per quanto la cifra possa essere irrisoria (o perfino una pura formalità) quando è l'ora di pagare, si sa che anche le migliori motivazioni (spesso magiche e del tutto superficiali, come ho già detto) scemano. E anche miseramente ...
La terapia va adeguatamente pagata, e in ogni caso!

Come sosteneva ormai un secolo fa il buon vecchio e caro Freud: "Quanto al tempo io seguo esclusivamente il principio del noleggio di una determinata ora. Ad ogni paziente viene assegnata una certa ora ancora disponibile nella mia giornata lavorativa; quest'ora è sua ed egli deve risponderne anche se non la utilizza".

... ça va sans dire!?!

Gli incidenti di percorso in psicoterapia possono essere molteplici e purtroppo talvolta inevitabili.
Compito del terapeuta è accorgersene, è apprendere dall'esperienza, per cercare di migliorare e aumentare sempre più il grado di libertà, curiosità e neutralità, nel rispetto dei Sistemi con cui lui e i suoi pazienti vengono in contatto.
Vale la pena tenere sempre a mente (e a chiare lettere!) che più i clienti che arrivano in terapia sono distanti dal mondo del terapeuta, di gran lunga maggiori sono le probabilità di successo della terapia.
Per l'interesse e il benessere di tutti i sistemi coinvolti nella Complessità del processo sistemico-relazionale.


Approfondimenti:


Bianciardi M., Galvez Sanchez F., Psicoterapia come etica. Condizione post moderna e responsabilità clinica. Antigone Edizioni. Torino. 2012.


Bion W. R., (1957), Attacchi al legame. In Spillius E. (a cura di) (1988), Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi. Volume Primo: la teoria. Astrolabio. Roma. 1995.


Bion W. R., (1962), Apprendere dall'esperienza. Armando Editore. Roma. 1972.


Bion W. R., (1970), Attenzione e interpretazione. Armando Editore. Roma. 1973.


Cecchin G., Lane G., Ray W.A. Verità e pregiudizi. Un approccio sistemico alla psicoterapia. Raffaello Cortina Editore. Milano. 1997.


Freud S., (1913), Inizio del trattamento. In Opere, vol. 7. Bollati Boringhieri. Torino, 1989.


Hillmann J., (1964), Puer Aeternus. Adelphi. Milano. 1999.


Laing R. D., (1959), L'io diviso. Studio di psichiatria esistenziale. Einaudi. Torino. 2001.


Laing R. D., (1959), L'io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi. Rizzoli. Milano. 2002.


Laplanche J., B. Pontalis, (1967), Enciclopedia della psicoanalisi. Laterza. Roma-Bari. 1973.


Winnicott D. W., (1974), (Fear of breakdown) La paura del crollo.
In Winicott C., Shepherd R., Davis M. (a cura di) (1989),
Esplorazioni psicoanalitiche. Raffaello Cortina. Milano.1995.


16 novembre 2012

Felicità



"... perchè basta anche un niente per essere felici
basta vivere come le cose che dici".

(R. Vecchioni, Canzone per Alda Merini, 1999).

6 novembre 2012

Memoria




"Quando moriamo, non possiamo portare niente con noi, né il denaro, né la casa, né l'auto, né la persona amata, né la nostra famiglia. Neanche i vestiti e i gioielli che abbiamo indosso possiamo portare. Quello che possiamo portare, invece, sono i ricordi, tanti da non poterli tenere tutti.

Sicuramente ci saranno anche brutti ricordi. Però forse quando moriamo, anche quelli si trasformano in bei ricordi. E, mi domando, accumulare bei ricordi, non è forse la sola cosa che possiamo fare nella vita?".

(B. Yoshimoto, Un viaggio chiamato vita, 2010).

1 novembre 2012

Assenze

Se muoio sopravvivimi



Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.

Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.

E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell'aria.

E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.



(P. Neruda, Cento sonetti d'amore. Sonetto 97. Argentina, 1959).

30 ottobre 2012

Sulla perfezione

La cipolla





La cipolla è un'altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d'inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla - cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell'una ecco sta l'altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un'eco in coro composta.

La cipolla, d'accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi - grasso, nervi, vene,
muchi e secrezioni.
E a noi resta negata
l'idiozia della perfezione.



(W. Szymborska, Cebula. Grande numero - 1976).

25 ottobre 2012

Amore romantico



"Essere innamorati è come uscire di casa
per vedere che giornata c'è". 
(Robert Creeley)

"L’amore è come un fiore; se non sei pronto a vederlo mutare, puoi sempre comprartene uno di plastica". (R. Osho)



L'amore e il desiderio generano quell'arco di tensione dal quale emerge l'amore romantico; come tutte le nostre esperienze, l'amore e il desiderio sono in parte costruzioni.

La passione s'incunea tra il desiderio e la sua realizzazione.

L'amore e il desiderio naturalmente nascono anche dalla trama delle nostre vite quotidiane, e noi abbiamo molto a che fare con la costruzione dei contesti in cui appaiono.

Ma fino a che a punto oggi ha ancora senso parlare di amore romantico?
Possiamo aspettarci che l'amore possa durare e fino a quando?

Il desiderio di certezze illusorie può rivelarsi potente.
E molto spesso lo stato d'inerzia è la condizione di stabilità.

Allo stesso modo anche la stabilità è illusoria e la natura dinamica del cambiamento può rovesciarne gli esiti molto prima che possiamo rendercene conto.
Rendendo tutto precario: condizione che anch'essa può risultare molto interessante, perfino ai più.

Varrebbe proprio la pena di chiedersi... Ma come si fa a uscirne vivi?

Vorrei condividere l'idea di un amore "maturo", in cui si può crescere, senza ostacolarsi, o per forza separarsi, per affermare la propria identità.

In cui la crescita e lo sviluppo sono possibili e auspicati da entrambi i partner.

E' un'operazione che ha bisogno di due persone che generano forme di vita su cui sperano mutuamente di contare.

Dove fantasia e realtà si intrecciano in continuazione, in uno scambio di tolleranza reciproca.
Dove è l'amore (e non solo il lavoro) a "produrre" valore e realizzazione personale.
Un'idea romantica, in cui, nonostante tutto, mi piace ancora poter credere.




Approfondimenti:

Willi J., La Collusione di Coppia.
Edizioni Franco Angeli. Milano. 1987.

Mitchell S., L'amore può durare? Il destino dell'amore romantico.
Raffaello Cortina Editore. Milano. 2003.

24 ottobre 2012

Amori




"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue".


Montale E., Xenia II, 1966.

Felicità



"Felicità raggiunta, si cammina
per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case".

Montale E., Ossi di seppia, 1925.

22 ottobre 2012

Passioni



"Nessuno ti preleva da Milano. 
Tu chiami un taxi ricordando forse che Quasimodo lì ti conduceva, su di un taxi, dove si sedeva ragionando d'amore senza fine.
Quasimodo spendeva le parole e io spendo la vita per amarti, ma tu non vieni, intuendo che qualcuno potrebbe sbarrarti la strada qui davanti.
Incolpo tutti della tua presenza, li incolpo del tuo starmi lontano.
E a tratti mi ritrovo sul cuscino, disperatamente".

Merini A., La pazza della porta accanto. Bompiani. Milano. 1995.

21 ottobre 2012

Traditori e traditi



Tradimento e fiducia sono in relazione doppia: l'uno non può esistere senza l'altro e viceversa.

Il tradimento è la crisi, è la rottura, è la fine dell'infanzia, è l'ingresso nel mondo reale, il mondo della coscienza e delle responsabilità umane.

E' dal segreto, creatore d'intimità e di condivisione, che nascono molti legami, molte appartenenze, amori e affiliazioni.

Allo stesso modo, confidare un segreto genera subito un timore e sottintende un rischio: quello di essere traditi. Ecco che in tal senso il tradimento segnala la doppia natura di consapevolezza e di possibilità; quindi, dal suo stesso etimo, il suo carattere di trasmissibilità.

Traditore e tradito sono dunque necessari l'uno all'altro, specchio deformante di un'unica realtà che li vede al servizio di se stessa e di ciò che intende mantenere.

Il tradimento svela così, già dai suoi presupposti, il suo carattere di reciprocità.

Tutti noi abbiamo fatto esperienza del tradimento.

A quanti tradimenti abbiamo sottoposto noi stessi, compiacendo aspetti legati al potere, al denaro, all'eros, all'immagine?
Quanta autenticità abbiamo sacrificato in nome di una cosiddetta migliore realizzazione? Quanto d'inevitabile era contenuto in ognuno di questi peccati fatti a favore (e contro) la nostra realizzazione?

Traditori e traditi, ingannati e ingannatori, cammineranno così di fianco, e non di spalle, come più facilmente l'idea di tradimento richiamerebbe. Non potendo prescindere gli uni dagli altri, colluderanno al mantenimento di ciò che intendono salvare, di ciò di cui non possono fare a meno e che di conseguenza li terrà (talvolta dolorosamente) in vita.

"E se noi siamo degli ingannati, non siamo perciò stesso degli ingannatori?".

Approfondimenti:

Nietzsche F., (1878-79). Umano troppo umano. Adelphi. Milano.1982.


Carotenuto A., Amare Tradire. Quasi un'apologia del tradimento.
Bompiani. Milano. 1991.

15 ottobre 2012

Abbandoni

Ultimo brindisi



"Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all'inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
a un mondo crudele e rozzo,
a un Dio che non ci ha salvato".



(Anna Achmatova, 1934)

14 ottobre 2012

(non) E' stato il figlio





Dal lavoro registico di Daniele Ciprì, a Venezia ampiamente lodato dalla critica e dagli applausi del pubblico, vorrei ricavare alcune considerazioni sulle relazioni familiari, che il film declina con lo stile cinico, violento, parossistico, cui lo stile di Ciprì dovrebbe averci già abituato.

Oltrepassando il triangolo Palermo-Mafia-Morte, la famiglia Ciraulo in primo piano (sottoproletaria, priva d'ideali, ostentatamente e registicamente squallida e abietta oltre l'immaginario onirico, e forse per questo più credibile) esalta con non velata compiacenza, lo stigma siculo-degradato, in cui il denaro (e il benessere che ne potrebbe derivare) generano il cortocircuito stabile di un vortice di povertà e mostruosità caratteriali.
Che più che al neo-realismo, sembrano attingere al surrealismo.

Serenella, la più piccola di casa muore, uccisa per errore da una vendetta di mafia.
E dopo il tragico (ma breve...) sconforto della perdita della bambina, la famiglia troverà consolazione nell'agognato risarcimento milionario per le vittime di mafia (siamo nelle lire degli anni ottanta) che porterà distruzione e miseria ancor peggiori.
Una Mercedes blu, in sostituzione della bambina, sarà il risarcimento mortifero, simbolo di una ricchezza da miserabili, in attesa di una rispettabilità sociale mai conosciuta e inconoscibile.

Il primogenito Tancredi, sarà la successiva vittima sacrificale del sistema familiare, costretto dalla nonna e dalla logica della cruenta sopravvivenza, a confessare di aver ucciso il padre, pur essendo colpevole soltanto di aver desiderato per una sera di vivere la vita di un qualsiasi ragazzo di vent'anni.

Lasciando i critici al loro lavoro, qui è la famiglia tirata dentro il suo stesso gioco grottesco, in cui i figli pagano il costo più insensato.

Dalla vita morale alla vita materiale, l'esistenza è negata, al pari di un'identità sconfitta e mai nata, sottomessa e sottratta all'esperienza di un agognato benessere, cui ognuno di loro aspira quasi in maniera immateriale, non avendone appunto mai avuto alcuna esperienza.

Il compiacimento, ostentato nella descrizione viscida e odiosa, fatta di particolari grotteschi, di certe caricature caratteriali (basta fermare solo un attimo lo sguardo sul disgustoso avvocato e sulla di lui segretaria) non lascia spazio ad alcuna speranza, ad alcun cambiamento.
La morte è protagonista, la distruzione sua complice e alleata.

Bravo Toni Servillo, perfino di maniera. Restano da contemplare le maschere tragiche di questi uomini e donne, in cui il matriarcato nonnesco (stregonesco) farà da spietato finale, risorsa straordinaria, da deus ex machina del teatro greco.

Dunque se e' (quasi) sempre vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, come in Tagore, l'onda degli affetti familiari anela al raggiungimento del fiore del rispetto e della credibilità sociale, senza raggiungerlo mai.

Assolviamo la famiglia, annegata nella troppa miseria, materiale e civile, ma non senza distaccarci da quel compiaciuto protagonismo stilistico (sottile, ma non proprio) che nega qui ogni possibilità di ulteriore evoluzione.





"E' stato il figlio", regia di Daniele Ciprì, Fandango, Italia, 2012.

Tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo, (Mondadori, 2005)
ed ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto a Palermo.



Trasformazioni



"Ho vissuto molte vite.
Sono stato un principe e uno schiavo.
Molti amori ho tenuto sulle ginocchia e
mi hanno tenuto sulle ginocchia molti amori.
Tutto ciò che è stato di nuovo sarà".


W. B. Yeats.

10 ottobre 2012

Dipendenze e intrecci relazionali


Un tempo, quando Giovanni era piccolo,
voleva stare tutto il tempo con sua mamma
e aveva paura che se ne andasse via

più tardi, quando fu un po' cresciuto,
voleva starsene via da sua mamma
e aveva paura che 

lei lo volesse avere con sé tutto il tempo

quando fu grande s'innamorò di Maria
e voleva stare con lei tutto il tempo
e aveva paura che se ne andasse via

quando fu un po' più in là con gli anni,
non voleva stare con Maria tutto il tempo
aveva paura
che volesse stare con lui tutto il tempo, e
che avesse paura
che lui non volesse stare con lei tutto il tempo


Giovanni fa paura a Maria minacciandola di lasciarla
perché ha paura che lei lo lasci.

R. D. Laing, Nodi. 1974.

2 ottobre 2012

Neonati rifiutati e idolatrati



Mi affascina sempre osservare i bambini appena nati, meraviglioso miracolo della continuazione della specie.
E a prescindere dai coinvolgimenti personali, che fanno di quel bambino un bambino unico e speciale nella relazione con l'adulto, ogni bambino che viene al mondo consegna con se stesso un piccolo capolavoro.

Purtroppo, però, non tutti i bambini che nascono trovano un ambiente che li attende e desidera.
Non è perciò raro che vengano abbandonati, anche già dalla nascita. E nei casi più drammatici, uccisi.

Sarebbe impossibile in questo contesto fare una disamina dei motivi che possono indurre una madre a uccidere il proprio bambino appena nato.
Sotto-cultura, impreparazione, povertà, solitudine, mancanza di risorse morali e materiali, fanno spesso da cornice a scelte così tragiche e irreversibili.
E segnalano comunque il fallimento di una società che non è stata capace in alcun modo di sostenere quella madre. Che non ha trovato nessuna soluzione, nessun appoggio personale e sociale, al punto di scegliere di liberarsi del suo bambino e rifiutarlo fino a ucciderlo.

A lato opposto di tanta umana disperazione, vedo anche frotte di nuove generazioni di bambini, agognati, venerati, idolatrati, da genitori che ne fanno perfino un bene di consumo, una continuazione del proprio sé, narciso e insaziabile di conferme.

Mi colpisce per esempio vedere dentro il sempre troppo citato Facebook, la metamorfosi dei profili d'identità di alcune donne. Che una volta divenute mamme, sostituiscono la propria foto con quella del bambino. Come se l'identità della donna fosse scomparsa, a favore (?) del piccolo nato.

Bambini e bambine moderni, principi e principesse di reami inesistenti, che quando verrà il momento di camminare nel mondo e di conoscerlo, resteranno molto delusi e impreparati ad affrontarlo.
Soffocati dalla realizzazione di desideri di famiglie che hanno fatto soltanto un lavoro ostinato e auto gratificante, al servizio del loro compiacimento, piuttosto che dei bambini, della loro crescita e costruzione d'identità.

Auspicherei la nascita di bambini accolti da famiglie consapevoli, che non li rifiutino, né maltrattino.
E dal versante opposto, non li riducano a bambolotti modellati all'altare del proprio narcisismo.
Sappiamo bene che l'equilibrio è il risultato di un lavoro continuo e costante, ma è proprio di questo che i più piccoli hanno bisogno: equilibrio, impegno, amore.

Approfondimenti:

Miller A., Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri. Torino. 1990.


Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, 
Bollati Boringhieri, Torino. 1996.

Bettelheim B., Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli. Milano. 2002.

Famiglie d'attualità



Gli enormi cambiamenti culturali e sociali che ai nostri giorni si ripercuotono sulla relazione di coppia, rappresentano nuove sfide per le famiglie.
Sempre più frequenti sono i casi di genitorialità tardiva e di figli piccoli in famiglie in cui l'età dei genitori ha attraversato ormai da un pezzo la mezz'età.

L'età delle primipare si è spostata in avanti, fino al limite ultimo concesso dalla natura, che si è poi spinto ben oltre: pensiamo alla procreazione assistita e a tutte le recenti tecniche di concepimento da laboratorio.

La crisi economica di scala nazionale e mondiale, ha reso molto complicato il progetto di tante coppie: fare un figlio in condizioni di totale precarietà lavorativa non ha di certo alleggerito né il compito né gli animi.
E in molti casi ne ha proprio bloccato il progetto. A tutto discapito di una generazione mai nata e di famiglie appena accennate, abbozzate, incompiute. Dove spesso è il partner a interpretare il ruolo del figlio per il compagno, e/o viceversa.
E' chiaro che ci sono moltissime coppie che funzionano benissimo senza figli, dove la progettualità è l'evoluzione stessa della storia, che è la figlia (si spera non unica) nata dell'unione dei due partner.
Ma di questo magari parleremo in post successivi.

Nasce la necessità d'organizzare dunque la vita di queste nuove famiglie, dove genitori non più giovani, debbono sobbarcarsi la gestione di almeno tre cicli di vita differenti. E intendo quindi il proprio, quello di adulti nell'età di mezzo, quello della terza età dei genitori, e quello dei figli piccoli o piccolissimi, appena nati.

Non possiamo ignorare che l'età media delle donne e degli uomini si è parecchio allungata, merito delle scoperte della medicina, e di migliorati stili di vita, più consapevoli e attenti al benessere psico-fisico. E che la risorsa 'nonni', soprattutto nel nostro paese a forte impronta familistica, rappresenta di sovente un pilastro solido cui attingere cure e accudimenti preziosi per i più piccoli.

Genitori ultra cinquantenni alle prese con bambini piccoli, con pappe e pannolini, sono scenari molto differenti dai quadri che ci consegnavano le famiglie dei nostri trascorsi anni sessanta.
Ma al tempo stesso specchio dei tempi, con cui di necessità dobbiamo confrontarci.

Accompagnare i genitori in queste tappe evolutive mutate, e certamente guardare con attenzione agli sviluppi di queste famiglie, è compito e cura anche della rete sociale (se c'è) che supporta la famiglia.

Ma se questa rete non ci fosse o risultasse insufficiente, assente, latitante?
Può infatti essere molto complicato confrontarsi con i problemi di un pre-adolescente e al tempo stesso prendersi cura di un lattante, all'interno dello stesso nucleo familiare.

E chiedere aiuto a un professionista è auspicabile, dove le risorse dei genitori si trovassero in difficoltà.
Aiuto vissuto come un passo di forza, come una spinta per sorreggere un carico che è divenuto, in quel particolare momento della vita della famiglia, troppo pesante o perfino insostenibile.

Senza cedere alla tentazione del mollare la spugna o alla logica (?) del tanto non c'è niente da fare.
Perché c'è sempre da fare ed è molto meglio qualche tentativo in più, che uno in meno.


Approfondimenti:

Fruggeri L., Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi sociali.

Carocci Edizioni. Roma. 1998.

Fruggeri L., Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni familiari.
Carocci Edizioni. Roma. 2005.

1 ottobre 2012

Costruzioni di significato/3

Nodi



"Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non
giocare a un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare,
infrangerò le regole e mi puniranno.
Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco".

(Ronald D. Laing, 1974)


Cantares



Viandante sono le tue impronte
la via e nulla più:
Viandante non c'è un cammino
si fa il cammino camminando.

Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.

Viandante non c'è una via
ma solo una scia sul mare ...


(Antonio Machado, 1912)

26 settembre 2012

Costruzioni di significato/2




Accade, durante la narrazione terapeutica, che il paziente, nel momento stesso in cui comincia a raccontare una storia (la propria, quella di un familiare, di una persona importante) provi la sensazione di vivere quella stessa storia per la prima volta, come se l'esperienza già vissuta avesse un valore minore o fosse perfino del tutto ininfluente rispetto al carico di emozioni che quella nuova narrazione in quel momento rappresenta.

Dal nuovo racconto possono scaturire associazioni diverse e inattese riformulazioni di significato, tali che sarà possibile vedere la stessa storia da un'angolazione del tutto differente, capace di rivoluzionare l'intero sistema valoriale di riferimento. Fino al punto da mandare in crisi la stessa narrazione, da sentirsi costretti a porsi la domanda: "Ma io che storia ho vissuto? Cosa è accaduto veramente? Sono lo stesso, la stessa, ma quello che racconto è come se appartenesse alla vita di qualcun altro... com'è possibile tutto ciò?".

E naturalmente, tutto questo in piena e assoluta buona fede.

Al di là, e a prescindere, dalle discussioni intellettuali che 'potrebbero' appassionare i clinici (e annoiare molti altri...) tutto questo è documentato dalla letteratura specialistica, che a seconda del vertice teorico di riferimento, offre le varie ipotesi che fanno capo a queste esperienze.

Ciò che invece qui mi preme di focalizzare è l'importanza della storia narrata in quanto tale, e di quanto la differente angolazione e prospettiva storico-temporale, sia di fatto l'elemento cardine e costitutivo.
Il contesto della terapia, il setting, la relazione col clinico, sono le condizioni di necessità perché questo possa avvenire. O anche non avvenire, ovviamente.
Infatti non sempre questo accade o può accadere. Per tanti differenti motivi.

Ma se accade, quando accade, è veramente un'esperienza rivoluzionaria, per il paziente e per il clinico.
Tale da ripermettere una nuova sceneggiatura, e perché no, un nuovo pezzo di esistenza.
Ecco che quella separazione, quel lutto, quel sintomo, quel disturbo nella relazione con l'altro, possono essere veramente la chiave di una nuova e autentica ricostruzione d'identità.
Se nulla accade per caso, forse vale davvero la pena di mettersi in gioco, in un'esperienza nuova e sconosciuta, quale è la psicoterapia, per riscoprire percorsi di vita attuali e sorprendenti.

Per dare nuovo senso e dignità a un vissuto ormai scomodo, che non ci appartiene e non ci serve più. Riconsegnando più al nostro oggi, che al nostro domani, quel meraviglioso senso di curiosità, di crescita consapevole e di ricerca che credevamo di aver perduto.

Approfondimenti:

Boscolo L., Bertrando P. I tempi del tempo. Una nuova prospettiva per la consulenza e la terapia sistemica. Bollati Boringhieri. Torino. 1993.

Cecchin G., Lane G., Ray W.A. Verità e pregiudizi. Un approccio sistemico alla psicoterapia. Raffaello Cortina Editore. Milano. 1997.

21 settembre 2012

Costruzioni di significato /1



"L'onda non riesce a prendere il fiore che galleggia: quando cerca di raggiungerlo lo allontana".

(Rabindranath Tagore)

11 settembre 2012

C'era una volta la stanza del terapeuta...



In tempi di evoluzione tecnologica così rapida, molte volte mi sono domandata quale fosse il futuro possibile della psicoterapia e delle stanze di terapia.

Sono passati tanti anni dai lettini analitici, romantici (almeno ai miei occhi) e polverosi dei grandi S. Freud e C. G. Jung. E di tutta quella sapiente austerità è rimasto ben poco. Com'era del resto inevitabile.

Se è chiaro che da allora ad ora, tutto è cambiato, meno chiaro è verso cosa va un senso condiviso e condivisibile del lavoro psicoterapico.

A tutta prima sembrerebbe che di psicologia e di aiuto psicologico abbiamo tutti bisogno. E perfino il mio parrucchiere (lo dico con grande simpatia!) sa moltissimo dei tipi psicologici che entrano nel suo negozio. Indubbiamente, una signora di mezz'età che vuole dei riflessi biondo cenere è molto differente da una ventenne che vuole un bel ciuffo blu cobalto proprio sull'orecchio sinistro (!)

Come tutte le professioni, il bisogno di rivedersi, di essere al passo coi tempi, di essere connessi è diventato un imperativo categorico. A rischio di qualunque rischio. Per il terapeuta, ma anche e soprattutto (mi verrebbe da dire) per il paziente, giustamente oggi più adeguatamente definito cliente.

Dunque nell'immenso mare della navigazione web, chiunque può titolarsi come profondo conoscitore della psiche e pontificare di qualsiasi cosa gli passi per la mente, allo scopo di captare personaggi più o meno ignari, cercatori di pepite di felicità a costo zero.
E così diventa quasi comprensibile che un sito qualsiasi, che s'intitoli con 'psico' come suffisso (psicocucina, psicoastri, psicomaghi, psicoparagnosti, psicoveggenti, psicovegani, psicofitness, psicociarlatani... etc.) abbia la meglio su noiosi e titolati professionisti della psiche, laureati, abilitati, masterizzati, specializzati... e pertanto meno attraenti di una notte insonne passata con Gigi Marzullo.

Resta a noi professionisti il compito di rendere ancora credibile una professione seria e faticosa, a discapito di facili chimere svolazzanti e senza credenziali. E ai clienti di porsi l'autentica domanda: cosa cerco da questo professionista? Cosa sono disposto a cambiare, a cedere, a rivedere di me stesso per stare meglio?
Insomma, il cambiamento è certamente possibile, ma non senza un po' di genuina messa in gioco. Diciamolo.

Approfondimenti.

Bianciardi M., Galvez Sanchez F., Psicoterapia come etica. Condizione post moderna e responsabilità clinica. Antigone Edizioni. Torino. 2012.

6 settembre 2012

Sulla gelosia



"Come geloso io soffro quattro volte:
perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l'altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri".


"ALTERAZIONE. Produzione breve nel campo amoroso, d'una controimmagine dell'oggetto amato. Sulla base di episodi trascurabili o di minimi connotati, il soggetto vede l'Immagine buona alterarsi improvvisamente e rovesciarsi".

(R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, 1977)




"Ma le anime gelose non sono mai gelose per una causa, ma perchè sono gelose. 
La gelosia è un mostro che si genera da sé, e nasce da se stessi".

(W. Shakespeare, Otello)


2 settembre 2012

Di gelosia e tradimento ai tempi dei blog




Argomentone titanico e invero anche un po' obsoleto.
Sappiamo già come finì al gigantesco transatlantico nel 1915. In un certo senso è affascinante anche per questo. Sai che affonderà, lo sanno tutti, però è bello vederlo navigare sicuro, solenne, maestoso, inaffondabile. Salvo imprevisti, certo...

Ecco, in qualche modo il rimando è questo a un certo tipo di relazioni di cui ogni angolo della mia visuale è piena. Navigano sicure, solenni, maestose, più preoccupate delle porcellane che devono esibire alle domeniche coi suoceri, che delle credenze (una volta erano di legno stagionato, oggi dell'Ikea, ma vabbè) che dovrebbero contenerle.

Se discutere di gelosia e tradimento implicherebbe l'esistenza di un legame (tradisco chi? spezzo cosa?) oggi questo si fa davvero più complicato perchè già la definizione stessa di legame è complicata.
Si fa fatica a definire come legami, relazioni (sarebbe più corretto dire rapporti) che naufragano al primo angolo di realtà, costruite per compiacere il proprio e altrui narcisismo, per accontentare famiglie d'origine ansiose del primo nipote da esibire a loro volta, e via andare.

Eppure la stampa è piena di uomini che uccidono le donne, per gelosia si legge. E che fatica oggi per gli uomini sostenere il fallimento di una relazione conclusa non per mano loro. Una tale fatica, che uccidere la propria compagna è la via maestra per azzerare il proprio fallimento e ripartire serenamente da una cella, se mai ci finiranno.

Famiglie lasciate da sole davanti a temi dell'evoluzione (loro e della società) cui quasi nessuno può dirsi veramente pronto.
Ecco che la gelosia e il tradimento rimandano più ai temi della letteratura (Otello, Madame Bovary, Anna Karenina) quasi luoghi appartati di una mente romantica, da rileggere davanti al camino, magari quando tornerà l'inverno.

28 agosto 2012

Ansia


"Non possiamo impedire agli uccelli dell'ansia e della preoccupazione di volare sopra la nostra testa, ma possiamo evitare che facciano il nido fra i nostri capelli".

(Proverbio Indiano)