28 gennaio 2013

Felicità vs. infelicità?

"La realtà è quella che la facciamo essere".



In questi nostri tempi occidentali così permeati di narcisismo, al punto che l'ultima edizione del DSM V ha tolto il disturbo narcisistico e quello istrionico dalle classificazioni (argomento che da solo merita un post a parte) essere felici sembra essere diventato un dovere sociale.

La morte è stata bandita, e rappresenta il vero e solo tabù rimasto. Così pure il senso del limite. Tutto è lecito pur di raggiungere una felicità, a qualsiasi costo.
La Corona's story è un esempio di rara volgarità a uso e consumo corrente, emblematicamente rispecchiante questi stili di vita (vita?).

Dunque la felicità non rappresenta più un territorio da conquistare, se pur brevemente, ma una condizione data come scontata, di cui impossessarsi a vita.

Sappiamo però tutti che le cose non vanno proprio così...

Passate le feste e i rituali propositi d'inizio anno (farò, dirò, non farò, non dirò) le valigie dei buoni propositi sono già state riposte nel solito camerino di sempre, ma i conti con la felicità non tornano come al solito?!

Forse più utile sarebbe un buon proposito che è un po' un compromesso, concetto che ingiustamente viene troppo scarsamente considerato.

Se essere felici sempre non è possibile, un obiettivo potrebbe essere quello di evitare l'infelicità.
Di evitare le solite tappe d'insuccesso certo, dove però riusciamo a imbatterci sempre e senza sapere nemmeno come.

Pensiamo per esempio a relazioni asfittiche, (d'amicizia, d'amore) tenute insieme da stampelle legate solo alla paura della solitudine, dal timore permanente del rischio, che chiude il pensiero al nuovo e lo priva di ogni spinta evolutiva.

Stati di lieve o grave sofferenza psichica dettati spesso da un sorta di pigrizia senza fine, accidia improduttiva, esito di consolazioni blande a sopportare le cose come stanno.

Ecco che proprio questa normale infelicità può essere il nemico da contrastare, per aspirare a una vita nuova e rinnovata senza finte certezze, finte relazioni, finti legami, capaci soltanto di rendere grigi i nostri orizzonti.





Con l'ausilio di un maggior utilizzo di strategie di coping (modalità di adattamento con cui si fronteggiano le situazioni stressanti) attive.

Qualsiasi sia la nostra età. Qualsiasi siano stati i nostri fallimenti fino a oggi.


Approfondimenti:

Ceruti M., Il vincolo e la possibilità. Feltrinelli, Milano, 1986.

Lazarus, R.S., Averill, J.R. and Opton, E.M. (1974). The psychology of
coping: issues of reserch and assesment.
In Coelho, G.V., Hamburg, D.A.
and Adams, J.E. (Eds.) Coping and Adaptation, Basic Books, New York.

Oliverio Ferraris A., Psicologia della paura. Bollati Boringhieri,
Torino, 1998.

Watzlawick P., Il linguaggio del cambiamento. Elementi di Comunicazione Terapeutica. Feltrinelli, Milano, 1980.

Zani B., Cicognani C., Le vie del benessere: eventi di vita e strategie di coping. Carocci Editore, Roma. 1999.






20 gennaio 2013

Futuro Silenzio Niente


Le tre parole più strane

Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.


(Wislawa Szymborska, Attimo, 2002).

15 gennaio 2013

Amicizia

Gennaio





"Gennaio è il mese in cui porgiamo agli amici i nostri auguri, e gli altri mesi quelli in cui gli auguri non si avverano".


(G. C. Lichtenberg).

10 gennaio 2013

Svanire

Portami il girasole




Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.


(Montale E., Ossi di Seppia, 1925).

9 gennaio 2013

Destino

GEORGE GRAY



Molte volte ho studiato 
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con le vele ammainate, in un porto. 
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino, 
dovunque spingano la barca.

Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

(Lee Master E., Antologia di Spoon River. Einaudi. Torino. 1974).

6 gennaio 2013

Lutto amoroso



Per quanto io lo rovini, il lutto dell'immagine (dell'amato) mi rende angosciato; ma dall'altro lato, per quanto io riesca a dargli buon esito, esso mi rende triste. Se l'esilio dell'Immaginario è la via obbligata per giungere alla "guarigione", allora bisogna convenire che il progresso è triste. Questa tristezza non è una malinconia - o è almeno una malinconia incompleta (niente affatto clinica), giacché non mi rimprovero niente e non sono prostrato. La mia tristezza appartiene a quella frangia della malinconia in cui la perdita dell'essere amato resta astratta. Qui, la perdita è doppia: non posso neppure investire la mia infelicità, come quando soffrivo per il fatto di essere innamorato. Allora, io desideravo, sognavo, lottavo; un bene prezioso era dinanzi a me, semplicemente ritardato, il suo possesso era ostacolato da alcuni contrattempi. Adesso non c'è più niente; tutto è calmo, e questo è peggio. Sebbene sia giustificato da un'economia - l'immagine muore affinché io viva -, il lutto amoroso ha sempre uno strascico; una frase viene ripetuta in continuazione: "Che peccato!". 

(Freud S., in Barthes R. Frammenti di un discorso amoroso. Einaudi, Torino. 1979).